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Si può parlare di interruzione dei termini in mediazione?

Accade spesso, specialmente nelle procedure aventi ad oggetto divisioni ereditarie ed usucapione, che nel corso della mediazione, dopo un’accurata fase esplorativa, di accertare l’esistenza di altre parti da coinvolgere definite impropriamente e processualmente terzi.

Una volta verificata questa circostanza, il mediatore, unitamente all’organismo di mediazione, si trova, a volte, davanti a richieste di “sospensione” del termine dei fatidici 90 giorni, indicato dall’art. 6 D. Lgs. 28/2010i, quale durata massima entro il quale deve svolgersi il procedimento di mediazione.

Tale norma è sorretta dalla ratio di rendere costituzionalmente legittima la previsione del tentativo obbligatorio di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale prevedendo un termine di durata ragionevole.

Circa la natura di detto termine, non avendo natura processuale e non essendo quindi sottoposto alla sospensione feriale, si ritiene pacificamente di tipo acceleratorio quindi rientrante nella famiglia dei termini ordinatori. Tuttavia per prassi, sarà sempre il buon mediatore a gestire il procedimento con il supporto dell’organismo – in maniera tale che la durata sia sempre quella più breve possibile, salvo qualora si avvii una soluzione conciliativa e sia necessario un periodo di tempo più ampio, in tal caso provvedendo a superare di comune accordo tra le parti tale durata perché vi sarà una o più ragioni oggettive che giustificano questo prolungamento.

Quindi il mediatore, davanti ad istanze di differimento del termine di durata di 90 giorni,fatto salvo che il regolamento dell’ODM non abbia regolato tale fattispecie, dovrà replicare che, stante la sua natura antitetica ai termini processuali e quindi quasi sempre perentori farà presente che è possibile ampliare detto termine per una motivazione oggettiva quale l’ingresso di altre parti in mediazione e che tale circostanza non comporterà, in un eventuale giudizio, alcuna conseguenza di tipo sanzionatorio. Pertanto alla luce di tale iter ermeneutico, non vi è alcuna ragione per “sospendere” il fatidico termine dei 90 giorni, che fra l’altro non è neanche previsto a livello normativo. Tale modus operandi, si giustifica altresì alla luce della elasticità ed informalità del procedimento di mediazione.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A. avvocato Pietro Elia

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